lunedì 22 marzo 2021

Il caso Michele Sindona


 

(22 Marzo1986) Muore il potente banchiere della mafia Michele Sindona, 56 ore dopo esser entrato in coma per aver bevuto un caffè in cui era stato versato del cianuro da mano ignota. Sindona si trovava nel supercarcere di Voghera, e scontava l’ergastolo comminatogli per l’omicidio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli (commissario liquidatore della Banca Privata Italiana dello stesso Sindona). La morte del banchiere siciliano sarà archiviata come un suicidio. Sindona si porta nella tomba molti segreti dell'Italia dei misteri e, ad ogni modo, resta il dubbio che qualcuno abbia voluto assicurarsi il suo silenzio, proprio in ragione dei misteri che avrebbe potuto svelare, in anni dove criminalità, politica e IOR (la banca del Vaticano) facevano affari insieme.



Michele Sindona (Patti, 8 maggio 1920 – Voghera, 22 marzo 1986) è stato nel corso degli anni Sessanta uno dei più irruenti banchieri del mondo: secondo Giulio Andreotti, addirittura sarebbe "il salvatore della Lira". La sua abilità? Legare in un nodo inestricabile di affari quattro pilastri della società italiana (non solo dell'epoca): potere politico (democristiano), Vaticano, massoneria e mafia.



L'impero di Sindona arriverà a controllare un numero incalcolabile di banche e società finanziarie, ma comincerà a vacillare nel 1963, quando il pentito di mafia Joe Valachi aveva spiegato all’FBI come funzionava Cosa nostra. Seguendo il flusso dei soldi l’FBI arrivò a Sindona e il primo novembre 1967 aveva scritto alla Criminalpol di Roma segnalandolo per riciclaggio, ma l’Italia aveva risposto di “non avere riscontri”.



In base a questa teoria (non vi sono riscontri giudiziari) nel 1969 l’arcivescovo Montini, diventato papa Paolo VI, aveva convocato Sindona per sistemare i conti della banca Vaticana. Sindona aveva fatto entrare lo Ior (Istituto per le opere di religione) nella sua Banca Privata Finanziaria e spostato somme mostruose in Svizzera; poi, convertendole in marchi, franchi e dollari aveva iniziato a speculare. Due anni dopo, nel 1971 il presidente dello Ior era diventato l’arcivescovo lituano Paul Marcinkus – quello che disse che “la chiesa non si amministra con gli ave Maria“ – e aveva ceduto una parte della quota di maggioranza della Banca Cattolica del Veneto al Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Il Grande Disegno – era quello di un fronte unico e compatto di finanza bianca che univa la DC di Andreotti, di Piccoli e di Fanfani..



Omicidio o suicidio? Sindona era stato visitato in carcere da Carlo Rocchi che lo aveva rassicurato sull'aiuto degli americani. La sua morte è stata archiviata come suicidio poiché il cianuro di potassio ha un odore particolarmente pregnante e, secondo il parere della scientifica, ne sarebbe stata impossibile l'assunzione involontaria. Il comportamento e i movimenti di Sindona stesso lo confermavano, facendo pensare a un tentativo di auto-avvelenamento per essere estradato negli Stati Uniti, coi quali l'Italia aveva un accordo sulla custodia di Sindona legato alla sua sicurezza e incolumità. Quindi un tentativo di avvelenamento lo avrebbe riportato al sicuro negli Stati Uniti.



Sindona fece di tutto per ottenere l'estradizione negli USA e l'avvelenamento, secondo l'ipotesi più accreditata, fu dunque l'ennesimo tentativo. Quella mattina andò a zuccherare il caffè in bagno e quando ricomparve davanti alle guardie carcerarie gridò: «Mi hanno avvelenato!». Resta comunque plausibile l'ipotesi che qualcuno gli abbia fornito il veleno, manipolandolo in maniera tale che lo portasse alla morte e non, come previsto, ad un semplice malore.


Il giornalista e docente universitario Sergio Turone ipotizzò che fu Andreotti a far pervenire la bustina di zucchero contenente il cianuro fatale, facendo credere a quest'ultimo che il caffè avvelenato gli avrebbe causato solo un lieve malore, consentendogli dunque di essere introdotto in una delle carceri negli Stati Uniti, in ragione dell’accordo descritto sopra. Secondo Turone, il movente del presunto omicidio sarebbe stato il timore che Sindona rivelasse verità scottanti riguardanti i rapporti tra politici italiani, Cosa Nostra, e la P2: «...fino alla sentenza del 18 marzo 1986 Sindona [aveva] sperato che il suo potente protettore [Andreotti] trovasse la via per salvarlo dall'ergastolo. Nel processo d'appello, non avendo più nulla da perdere, avrebbe detto cose che finora aveva taciuto».



Va tuttavia sottolineato che tale ipotesi non è stata suffragata da alcuna prova concreta che leghi Andreotti alla morte di Sindona. Ancora nel 2010, Giulio Andreotti riportava un giudizio positivo su Sindona: «Io cercavo di vedere con obiettività. Non sono mai stato sindoniano, ma non ho mai creduto che fosse il diavolo in persona. Il fatto che avesse interessi sul piano internazionale dimostrava una competenza economico e finanziaria che gli dava in mano una carta che altri non avevano. Se non c'erano motivi di ostilità, non si poteva che parlarne bene». La tomba di Michele Sindona e famiglia è al Cimitero Monumentale di Milano, la numero 430 del Circondante di Levante.



#vincenzomariadascanio

 

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