giovedì 17 febbraio 2022

(17 febbraio 1600) Giordano Bruno è bruciato vivo dalla Santa Inquisizione


 

(17 febbraio 1600) Con la lingua chiusa in una morsa affinché non gli fosse impedito di parlare, il filosofo e scrittore Giordano Bruno è condotto a Campo dei Fiori a Roma, denudato ed arso vivo in esecuzione della condanna a morte per eresia inflittagli dall'inquisizione della Chiesa romana. Le sue ceneri saranno gettate nel Tevere.

Filippo Bruno, noto con il nome di Giordano Bruno (Nola, 1548 – Roma, 17 febbraio 1600), è stato un filosofo, scrittore e monaco italiano appartenente all'ordine domenicano, vissuto nel XVI secolo. Il suo pensiero, inquadrabile nel naturalismo rinascimentale, fondeva le diverse tradizioni filosofiche ma ruotava intorno a un'unica idea: l'infinito, inteso come l'universo infinito, effetto di un Dio infinito, fatto d'infiniti mondi, da amare infinitamente.

Per queste argomentazioni e per le sue convinzioni sulla Sacra Scrittura, sulla Trinità e sul Cristianesimo, Giordano Bruno, già scomunicato, fu incarcerato, giudicato eretico e quindi condannato al rogo dall'Inquisizione della Chiesa cattolica durante il pontificato di Clemente VIII. L'imputazione mossagli fu di dubitare della trinità , della divinità di Cristo, di voler sostituire alle religioni particolari la religione della ragione come religione unica e universale e di affermare che il mondo é eterno e che vi sono infiniti mondi.

L'8 febbraio 1600, al cospetto dei cardinali inquisitori e dei consultori Benedetto Mandina, Francesco Pietrasanta e Pietro Millini, è costretto ad ascoltare in ginocchio la sentenza di condanna al rogo; terminata la lettura della sentenza, Giordano Bruno si alzò e ai giudici disse: «Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell'ascoltarla».


Tuttavia la sua filosofia sopravvisse alla sua morte, portò all'abbattimento delle barriere tolemaiche, rivelò un universo molteplice e non centralizzato e aprì la strada alla Rivoluzione scientifica: per il suo pensiero Bruno è quindi ritenuto un precursore di alcune idee della cosmologia moderna, come il multiverso; per la sua morte, è considerato un martire del libero pensiero. Nel penultimo decennio del 1800 un Comitato internazionale, costituito fra gli altri da Ernest Renan, Victor Hugo, Herbert Spencer, Silvio Spaventa, Henrik Ibsen e Walt Whitman, si fece promotore dell'iniziativa di erigere un monumento in memoria del filosofo, proprio dove fu bruciato.

 

Il potere ecclesiastico si oppose fermamente a tale iniziativa, e la cosa degenerò quando, nel gennaio 1888, una manifestazione di studenti in favore del monumento fu repressa dalla polizia. A dicembre finalmente il Consiglio comunale concesse l'autorizzazione e lo spazio in piazza Campo de' Fiori. Il 9 giugno 1889, giorno di Pentecoste, il monumento, opera dello scultore Ettore Ferrari, venne finalmente inaugurato.


Il Papa Leone XIII, che aveva addirittura minacciato di lasciare Roma, rimase l'intero giorno a digiunare inginocchiato davanti alla statua di San Pietro, pregando contro «la lotta ad oltranza contro la religione cattolica». Alla base del monumento si legge un'iscrizione del filosofo Giovanni Bovio, oratore ufficiale della cerimonia di inaugurazione: «A Bruno, il secolo da lui divinato qui dove il rogo arse». Ogni anno, a Campo de' Fiori, il 17 febbraio, si sono svolti molti raduni di laici e militanti, per manifestare contro le ingerenze clericali o semplicemente per commemorare il rogo del filosofo

mercoledì 26 gennaio 2022

Alberto s'innamora di una lucciola slava


 Alberto s’era clamorosamente innamorato di Sonia, una lucciola che lavorava non lontano dalla laguna di Santa Gilla, vicino al cavalcavia che porta alla sulcitana. Ad ogni modo Agostino aveva tentato di farlo desistere, ma le sue parole erano cadute nel vuoto come bottiglie di Vodka lanciate dal campanile di una Cattedrale sconsacrata.

“Cazzo”, gli disse una notte in cui la cercavamo per tutta la città, “sei proprio un coglione, ma come fai ad innamorarti di una puttana, sei proprio uno stronzo, tu...”

“Agostino, non rompermi le palle, facciamo quello che dobbiamo fare e stai zitto!”

“Appunto”, disse questo con le labbra imbrattate di vino, “si può sapere cosa cavolo dobbiamo fare?”

“Dobbiamo trovare Sonia, sono preoccupato per lei...”

“Questa è bella... dai, diamoci una mossa allora, mi sono già rotto le palle...”


Io volevo dire qualcosa, certamente qualche stupidaggine, ma Valeria intuì le mie intenzioni e mi fece capire che non era il caso. Ci trovavamo sulla macchina di Alberto già da qualche ora, ma di Sonia neanche il profumo. Non era la prima volta che ci recavamo in quelle strade buie e stagnanti, infatti la ragazza era sparita da due giorni e oramai cominciavamo a temere il peggio. Alberto ci aveva raccontato che avevano avuto una lite violentissima, era dunque intervenuto il suo protettore, e lui gli aveva spaccato una bottiglia di birra sui denti. Sonia l’aveva intimato di non farsi mai più vedere, ma eravamo certi che quel dannato pappone se la sarebbe presa con lei.


Alcune colleghe di Sonia avevano già cominciato a lavorare, quindi Alberto pensò d’appostarsi nella “sua” zona, per cercare di comprendere cosa sarebbe accaduto. Le ragazze avevano il loro quartier generale non lontano da Viale Trento, presso un distributore di benzina dall’aspetto sinistro e malinconico. Lavorare in quella strada non era stata una deliberazione a scrutinio segreto, poiché in realtà era stato frutto d’imposizioni, minacce e soprusi che non ammettevano nessun rilancio. Non avevi a che fare con diplomatici, guardie svizzere o signorili giocatori di scacchi. A Cagliari la situazione delle lucciole era notevolmente cambiata, i baroni del marciapiede non erano più gli stessi. Dopo la conquista del dominio i nuovi sovrani avevano deciso d’allargare o restringere i feudi a seconda dalla loro potenza di fuoco.

 

In precedenza tutto era sommariamente di tutti, vigeva un sistema anarchico della marchetta, non c’erano cartelli, oligopoli e patti anticoncorrenziali. Ognuna (od ognuno, o ognun*) poteva deliberatamente fissare la propria tariffa, e il prezzo era individuato nel puntuale incontro della domanda e dell’offerta, ossia la leggendaria trattativa privata tra cliente e prostituta. Ora non è più così, le tariffe sono decretate da uomini assoluti che governano incontrastati e, oltre al danno la beffa, s’accaparrano la totalità dei profitti sessuali.

 

Nei casi più disperati i ricavi sono determinati dal denaro accumulato dalle ragazze, i costi individuati nel cibo per tenerle in vita, ed alcuni vestiti per renderle desiderabili. Un’impresa del sangue certamente redditizia. L’anarchia, dunque, è stata cancellata da un totalitarismo becero e violento, ma è fondamentale fare buon viso a cattivo gioco, se non si vuole correre il rischio di masticare fango in qualche fosso non lontano dallo stagno.


Alberto guidava come un ossesso tra strade buie, sconnesse e polverose, pareva preda di demoni alcolizzati e scontrosi. Con una mano teneva il volante, nell’altra una bottiglia di birra che lanciò verso una fuoriserie, arrestatasi ignara dinanzi ad una lucciola magiara. La sua maglietta era lorda di farina e fango, sulle sue gambe una mazza da baseball attendeva d’essere maneggiata non di certo per realizzare un immane fuoricampo. Questo elemento emblematico mostrava in tutta la sua straordinaria perfezione i suoi facinorosi intenti. Scrutava come un falco ogni centimetro quadrato del marciapiede poi, inaspettatamente, agì con rabbia sull’asta metallica del freno a mano, dinanzi al cavalcavia della 130. La macchina si lasciò andare ad un pirotecnico testacoda. Nessuno disse una parola, soltanto Agostino osò violare il religioso silenzio.

 
“Ma perché cazzo ci siamo fermati qui?” Disse scostandosi un attimo dal suo bottiglione di vino rosso.

“Stai zitto e aspetta...” Rispose Alberto mentre afferrava la mazza.
Per alcuni secondi il silenzio dominò nuovamente incontrastato. Alberto si concentrò su una macchina, un’infelice Croma color panna, ben riparata da uno degli imponenti piloni del viadotto. Il nostro gettò allora la sigaretta, aprì lo sportello con una spallata, afferrò la mazza e il bottiglione di Agostino, avviandosi come una folgore verso la Croma, che intanto cominciava a oscillare come una scialuppa sospinta da brezze marine. Alberto, mentre si avviava coi suoi possenti scarponi (ci trovavamo verso gli inizi di Luglio), solleva una leggera coltre di polvere, e quella stessa polvere, quella mazza, la sua andatura, lo facevano sembrare un antico gladiatore assetato di vittoria. Il bottiglione di vino rosso, tuttavia, lo tramutava nel giovane alcolizzato pazzo che in effetti era.

“Vai con lui, corri, Lorè, vai con lui!” Urlò Valeria con una mano sulla fronte.

Mi risvegliai da un preoccupante stato di trance, non riuscivo a raccontarmi la ragione per cui mi trovavo in quella situazione da incubo. A casa m’attendeva “Storia delle Dottrine politiche”, con le diavolerie di Rousseau, le ossessioni di Machiavelli, l’odio incondizionato di Hobbes verso il genere umano. Invece mi trovavo là, in una macchina sudicia come i cessi delle stazioni ferroviarie, a rincorrere uno squilibrato del tutto intenzionato a sfruttare le compatte fibre della sua mazza da baseball. Mia madre avrebbe trascorso il resto della sua vita in Chiesa, se avesse saputo una cosa del genere. Non le sarebbero bastate tremila “Ave Maria” e cinquecentomila “Atti di dolore” per strapparmi dalle laccate unghie di Lucifero. Avrebbe trascorso il resto dei suoi giorni a domandarsi la ragione di quella punizione, mattine invernali e serate primaverili per individuare con circospezione il peccato scatenante l’ira dell’Assoluto.


Riuscì a raggiungere Alberto proprio mentre stava aprendo lo sportello della Croma. Non appena compì questo clamoroso gesto, a noi si presentò uno scenario pasoliniano. All’interno una bellissima adolescente bionda, viso da bambola, forse slovacca, cavalcava un uomo sulla settantina del tutto simile a Lamberto Dini.

“Mio Dio, che sta succedendo” disse l’anziano alzando le mani. Alberto sbirciò all’interno della macchina.

“No, scusi, abbiamo sbagliato persona...”

“Ma, perbacco, il vostro comportamento è azzardato...”

“Stia zitto, altrimenti le infilo questa mazza da baseball nel culo... Le ho chiesto scusa, maledizione!” Detto questo Alberto diede un calcio allo sportello, e la vettura ricominciò a ondeggiare come se nulla fosse accaduto. Lo spavento non era stato sufficiente per contenere la libidine sfrenata del sosia dell’ex premier liberale.


Mentre ci avvicinavano alla macchina Alberto s’accese una sigaretta, e me ne offrì una.

 “Cazzo”, dissi, “quel vecchietto, era identico a Lamberto Dini, miseria ladra...”
“E cosa t’aspettavi di trovare?” Mi rispose lui con una tranquillità tombale.
Certo, in effetti, cosa pensavo di trovare, Antonio Banderas che limonava duro con Charlize Theron? Mentre camminavamo osservai il continuo susseguirsi d’automobili che marciavano come un esercito in festa. Una dopo l’altra, una dopo l’altra, una dopo l’altra. Talvolta transitavano dei ragazzi strafatti che si mettevano a urlare, e agitavano della fiammeggianti bottiglie di superalcolici. Ragazzi in licenza premio, fuggiti alle loro prigioni, ai loro lavori pesanti, ai loro studi pazzeschi, alle loro idiozie, alle loro mogli o fidanzate, e che cercavano nell’atto sessuale uno stordimento effimero che li allontanasse, anche per una sola sera, dai supplizi banchettanti nelle loro menti.

 

Alcuni cercavano l’amore, una semplice carezza, un pizzico di calore umano, altri cercavano la violenza, l’ingordigia, l’ignota depravazione di comprare un corpo. Transitavano autisti solitari e torvi, che mestamente mantenevano un braccio appoggiato al finestrino e ti scrutavano per capire s’eri un transessuale. Era difficile comprendere chi fossero in realtà le vittime: loro, oppure le lucciole sulla strada. I primi incatenati da una vita che odiavano, le altre da magnacci pronte a farle saltare il cervello...


Passammo accanto a una ragazza affatto bella, forse aggredita dall’eroina o da malattie veneree. Chiese ad Alberto se intendeva “divertirsi”, questo alzò la testa, si riprese dai suoi pensieri, appoggiò l’armamentario e gli diede venti euro. Fu un’immagine scioccante, non si dissero una sola parola. Quando arrivammo alla macchina il nostro si sdraiò per terra e cominciò a piangere. Valeria lo vide, gli prese il bottiglione di vino dalle mani, poi si sedette accanto a lui.
“Su, su”, disse accarezzandogli i capelli, “vedrai che la troviamo la tua Sonia...”
“Ho seriamente paura che le abbiano fatto del male...”

“Dai, stai tranquillo...”

 “No, lo sento, deve essere successo qualcosa. Non è da lei comportarsi così!”
“Eh.. si! Non è da lei comportarsi così... Sembra che stai parlando della principessa Sofia”, urlò Agostino dalla macchina, “ti s’è fuso il cervello bello mio, ah ah!”

 “Pensa a te stronzo, ed a tutte le pippe che ti fai al posto di studiare!” Urlò dunque Valeria. Agostino non rispose. Come al solito Valeria aveva colpito nel segno.

 
Quella sera non riuscimmo a trovare Sonia, e per molto tempo mi sono domandato come’era andata a finire quella vicenda. Dopo alcuni anni riuscì a scoprire la verità, grazie alle parole dello stesso Alberto. Grazie a un giochetto del mio avvocato ero uscito dal carcere, e “nonostante” i patetici sforzi dello Stato nessuno intendeva darmi un lavoro. Avevo combinato un bel guaio, e la fedina penale sporca non è un bel biglietto da visita. Non sapevo dunque come trascorrere il tempo, così cominciai a seguire alcune lezioni universitarie, tra cui diritto penale, diritto penitenziario e simili, così, tanto per togliermi qualche dubbio sorto durante la mia villeggiatura forzata. Un pomeriggio, mentre mi trovavo nel bar degli studenti in compagnia di una birra, vidi Alberto che arrivava, e mentre camminava mostrava il suo bel sorriso. Ci abbracciammo, del resto erano secoli che non ci vedevamo.


“Ciao Bello”, gli dissi, “come va?”

“Tutto bene, oh, ma ti sei fatto crescere la barba?”

 
Incredibile, col tempo il mio amico era diventato un uomo, non pareva affatto il ragazzone che trascinava la mazza da baseball voglioso si spaccare qualche cranio sciagurato. Notai un grosso orologio sul suo polso, doveva aver raggranellato un bel po’ di quattrini, il nostro caro cacciatore di magnaccia. Io, invece, annaspavo tra gli ultimi della terra, e sul polso portavo una cicatrice conseguita di diritto in penitenziario, durante una sanguinosa lotta per non essere violentato. Alberto ascoltò la mia vicenda con le mani tra i capelli. “Mio Dio!”, “Accidenti!”, “Bastardi!”, “Farabutti!” “Dannato secondino!” Dopo una serie infinita d’esclamazioni, quasi non si mise a piangere. Poi, anche per evitare una situazione che cominciava a diventare imbarazzante, cambiai immediatamente discorso e gli chiesi di Sonia. Non avevo mai dimenticato quella vicenda, in carcere le ore trascorrono lente e ogni episodio della tua precedente esistenza è sondato con minuzia di particolari.


“Già, Sonia, accidenti, avrei fatto di tutto per lei…” Mi disse con voce immensamente triste. “Si, l’ho trovata, l’ho trovata… Quelle notti non ci riuscivamo perché era fuggita a Sarajevo, la sua città, per scappare da quel figlio di puttana…”

 “Sei riuscito a parlarle?”

“No, ma sono andato a cercarla. Sono rimasto là quasi due mesi, poi sono riuscito a sapere che lavorava in un locale non lontano dal mio Hotel, pensa un po’…”

“Quindi l’hai incontrata, vi siete finalmente visti!”


“No, no… Due giorni prima che riuscissi a recuperare le informazioni è ritornata in Sardegna, questa volta per fuggire da un isolato eccidio etnico. Le avevano assicurato che quel maledetto era crepato, così ha iniziato a lavorare in Costa Smeralda, per i ricchi dei villaggi vacanze. Questa volta i soldi che intascava erano tutti suoi, ma una sua amica mi disse che teneva solo il minimo indispensabile, perché voleva che i suoi fratelli la raggiungessero. Tuttavia il suo vecchio protettore non era morto, erano tutte cazzate. Così il bastardo l’ha trovata, violentata, segato la testa e buttato il corpo in un fosso. Cazzo”, concluse passandosi una mano sul viso, “la testa non è mai stata trovata...”


Non sapevo cosa dirgli, in effetti non c’era molto da dire, in certi casi è preferibile il silenzio e accettare insieme l’inestinguibile sapore della dannazione. Dopo qualche minuto fummo capaci di riparlare, e mi promise sulla stessa Sonia che avrebbe sgozzato quel maledetto magnaccia.
“Un giorno lo troverò quel bastardo, e gli farò pagare tutto, tutto quanto...”
“La vendetta è un piatto che va servito freddo, così dicono…”
“E’ un proverbio stupido!” Mi rispose Alberto. Considerai che aveva perfettamente ragione.

“Ti manca molto, non è vero? Ti posso chiedere come l’hai incontrata?”
“Niente, una sera sono semplicemente diventato uno dei suoi molteplici clienti, tutto qui. Poi da cliente sono diventato il suo unico amante.”
“L’hai amata tanto, non è vero?”

“Si, forse troppo. Lo so cosa stai pensando, devo essere uno sfigato per essermi innamorato di una puttana. Alla fine Agostino aveva ragione...”

 “Dai, tutti sappiamo che Agostino non ha mai avuto ragione su nulla... Guarda, in prigione ho visto tante sciagure, ma ho visto persone giurarsi l’amore eterno, nonostante malattie, sofferenze o separazioni trentennali. Non puoi dire: oggi m’innamoro di questa, domani non m’innamoro più, dopodomani amerò un’altra. E’ come dice Davide: l’amore è magia, non puoi rifletterci più di tanto...”


“Chi cazzo è Davide?”

 “Il mio compagno di cella, accidenti a lui…”

 “Tu ami qualcuno?”

“Si”, gli risposi, “ma lei non mi vuole vedere. Questa è una tortura, altro che i cazzotti in sala mensa...”

Tra noi ci fu un attimo di silenzio, poi Alberto s’accese una sigaretta.
“Cosa devo fare, Lorè?”

“Cosa devi fare? Trova quel bastardo, ammazzalo, tagliagli la testa e fotografala. Poi facciamo un bel cartello, e sotto la foto del merda ci scriviamo: QUESTA E’ LA TESTA DI UN CAZZONE CHE HA OSATO TOCCARE UNA LUCCIOLA.” Fatto questo ci organizziamo, e una notte appendiamo i cartelli in tutta la città...”


La mia voleva essere una battuta macabra, forse fuori luogo, ma era soltanto una semplice, stupida, efferata battuta. Tuttavia io e Alberto ci guardammo negli occhi, e nessuno dei due rise. Il carcere m’aveva effettivamente rieducato.

#vincenzomariadascanio

venerdì 23 aprile 2021

I partigiani cacciano i nazifascisti da Genova.


 

(23 Aprile1945) Il CLN delibera l'avvio popolare per l’insurrezione, al fine di liberare la città di Genova dai nazifascisti. Il Comitato di Liberazione Nazionale della Liguria e il Comando Militare Regionale decidono di far partire un’offensiva definitiva contro i presidi militari nazifascisti. Il 26 Aprile Genova è definitivamente libera, i partigiani hanno vinto.

 

Intanto un proclama destinato espressamente ai fascisti fu emanato dal CLNAI e dal CVL il 19 aprile 1945 e diffuso nel Nord Italia da Sandro Pertini.

 

“La battaglia finale contro la Germania hitleriana volge a passi rapidi e sicuri verso il trionfo definitivo delle potenze alleate dei popoli democratici. La cricca hitleriana e fascista sente venire la propria fine e vuol trascinare nella rovina estrema le ultime forze che le restano e, con esse, il popolo e la nazione. È una lotta inutile ormai per i nazifascisti, è un suicidio collettivo. Una sola via di scampo e di salvezza resta ancora a quanti hanno tradito la patria, servito i tedeschi, sostenuto il fascismo: abbassare le armi, consegnarle alle formazioni patriottiche, arrendersi al Comitato di liberazione nazionale.

Arrendersi o perire!

È l’intimazione che deve essere fatta a tutte le forze nazifasciste, a quelle tedesche come a quelle italiane, a quelle volontarie fasciste come a quelle coscritte del cosiddetto esercito repubblicano. Sia ben chiaro per tutti che chi non si arrende sarà sterminato. Sia ben chiaro per i componenti delle forze armate del cosiddetto governo fascista repubblicano che chi sarà colto con le armi in mano sarà fucilato. Solo chi abbandona oggi, subito, prima che sia troppo tardi, volontariamente, le file del tradimento, solo chi si arrende al Comitato di Liberazione Nazionale, consegna le armi – quante armi può – ai patrioti avrà salva la vita, se non si sarà macchiato personalmente di più gravi delitti. Il Comitato di Liberazione Nazionale e le formazioni armate del Corpo dei Volontari della Libertà non accettano e non accetteranno mai – in armonia con le decisioni dei capi responsabili delle Nazioni Unite – altra forma di resa dei nazifascisti che non sia la resa incondizionata. Che nessuno possa dire che, sull’orlo della tomba, non è stato avvertito e non gli è stata offerta un’estrema ed ultima via di salvezza.”

 



I fatti: Genova, pomeriggio del 24 Aprile. I partigiani occupano gli edifici pubblici, troncano la circolazione ferroviaria in tutta la Liguria, privano i tedeschi dell'elettricità, dell'acqua e della possibilità di comunicare per via telefonica. Per i tedeschi sono chiuse tutte le vie d’uscita. Una colonna di artiglieria tenta una sortita ma viene prontamente spazzata via. Quella di Genova, secondo molti storici, può essere considerata "l’insurrezione perfetta" sotto qualsiasi punto di vista, tanto sul piano militare quanto su quello politico, eseguita in una città in cui tutte le condizioni obiettive erano a favore del nemico.



Circa 30 mila tedeschi sono addensati nel breve tratto della riviera ligure nei pressi di; 50 pezzi di artiglieria di medio calibro, dal 75 al 104, piazzati lungo la cintura di difesa esterna, 15 grossi calibri, dal 152 al 381, pronti a entrare in azione ad Arenzano, Monte Moro e Portofino. Di fronte allo schieramento nemico, le forze partigiane non superano un settimo delle forze tedesche (tenendo conto anche dei partigiani della montagna, gli unici provvisti di armi automatiche). In città, secondo le previsioni del "Comando Piazza", non più di 3 mila sappisti e gappisti, dotati per la maggior parte di pistole». Al momento della mobilitazione generale, però, ai quattro settori militari affluiscono non solo i 3 mila uomini delle Sap già in forza, "ma un numero di cittadini superiore di almeno dieci volte alle previsioni."



Dopo due giorni il generale tedesco Meinhold firma la resa definitiva. Il testo è sottoscritto anche dal presidente del Cln di Genova, Remo Scappini, operaio comunista originario di Empoli. "Tutte le forze germaniche di terra e di mare alle dipendenze del signor generale Meinhold si arrendono alle forze armate del Corpo volontari della Liguria alla dipendenze del Comando militare per la Liguria. La resa avviene mediante presentazione ai reparti partigiani più vicini con le consuete modalità e in primo luogo con la consegna delle armi. La resa avrà decorrenza dalle ore 9 del giorno 26 aprile 1945."



Per la sua vittoriosa insurrezione la città di Genova è insignita di medaglia d'oro al valor militare con la seguente motivazione: "Amor di Patria, dolore di popolo oppresso, fiero spirito di ribellione animarono la sua gente nei venti mesi di dura lotta il cui martirologio è nuova fulgida gemma all'aureo serto di gloria della "Suprema" repubblica marinara. I caduti il cui sangue non è sparso invano, i deportati il cui martirio brucia ancora nelle carni dei superstiti, costituiscono il vessillo che alita sulla città martoriata e che infervorò i partigiani del massiccio suo Appennino e delle impervie valli, tenute dalla VI zona operativa, a proseguire nella epica gesta sino al giorno in cui il suo popolo suonò la diana della insurrezione generale. Piegata la tracotanza nemica, otteneva la resa del forte presidio tedesco, salvando così il porto, le industrie e l'onore. Il valore, il sacrificio e la volontà dei suoi figli ridettero alla madre sanguinante la concussa libertà e dalle sue fumanti rovine è sorta nuova vita santificata dall'eroismo e dall'olocausto dei suoi martiri. - 9 settembre 1943 - Aprile 1945"

 

martedì 20 aprile 2021

In una Berlino sotto assedio Hitler contrattacca don divisioni inesistenti.

(20 Aprile1945) È il giorno del cinquantaseiesimo compleanno del Fuhrer. Berlino è investita da pesanti bombardamenti da parte delle truppe sovietiche. Mentre Hitler decora fuori del bunker i giovanissimi militari del suo Reich, i carri armati dell'Armata Rossa sono a pochi chilometri da Berlino. Nella capitale tedesca tutto brucia, le case sono un cumulo di macerie, sotto cui giacciono 60 mila morti. Intanto nel Bunker della cancelleria si danza ubriachi, in feste dominate dell'alcool e della morfina. Molti di loro, tra poche ore, si suicideranno.



Era chiaro a tutti che la sconfitta tedesca era solo questione di poche settimane, ma i combattimenti sarebbero stati feroci come nel resto della guerra; l'orgoglio nazionale pangermanico, il desiderio di non capitolare come accadde durante la prima guerra mondiale, l'insistenza degli Alleati per una resa incondizionata e il desiderio di guadagnare tempo per permettere ai rifugiati di arrivare ad ovest prima dell'arrivo dell'Armata Rossa portarono le unità tedesche a combattere fino all'ultimo.



Nonostante le insistenze dello Stato maggiore della Wermacht Adolf Hitler, forse in preda al delirio, decise di rimanere a Berlino, non scappa, come farà inutilmente Mussolini. Hitler vuole distruggere se stesso il popolo tedesco, ridurre Berlino in macerie, ordina la fucilazione dei vigili e di distruggere le infrastrutture della capitale, come i russi fecero con Napoleone. Tanto Hitler quanto buona parte della sua corte rimasero preda di vaneggiamenti e illusioni fino all'ultimo, in particolar modo Hitler, che meditava sovente su Federico II di Prussia "il Grande", che era riuscito a salvarsi dalla completa sconfitta nella Guerra dei Sette Anni perché i suoi nemici (ed in particolare la Russia) avevano iniziato a ostacolarsi a vicenda ed erano usciti dall'alleanza. Nel Bunker, su enormi cartine geografiche, si spostano armate che non esistono più, dinanzi allo Stato Maggiore allibito.



Le idee che circolavano nel bunker sotterraneo della cancelleria, tra i più alti gradi del III Reich, rimanevano però improntate a un totale scollegamento dalla realtà: la guerra era ormai persa da mesi se non da anni, ma ci si ostinava da un lato a credere ad una vittoria impossibile, dall'altro a pensare che il Reich dovesse finire in una sorta di autodistruttivo crepuscolo degli dei; erano completamente incuranti delle perdite civili e militari. Il Fuhrer convocava i capi dell'esercito, indicava la salvezza grazie all'intervento di armate inesistenti, i cui soldati, prigionieri, si trovano già a marciare verso la Russia.



Si era completamente dimentichi delle povere condizioni dell'esercito tedesco, uno dei più potenti eserciti del mondo , che aveva schiacciato la Francia in pochi giorni. Le divisioni ancora esistenti erano formate da ragazzi di 13-14 anni ed anziani di 60-70, pesantemente sotto organico (3-4.000 uomini contro i quasi 12.000 teorici), armati con un coacervo di armi modernissime e antiquate (fucili d'assalto accanto a moschetti Carcano 91/28). Secondo Hitler avrebbero dovuto resistere indefinitamente, mentre altre formazioni analoghe avrebbero dovuto garantire una immensa quanto assurda controffensiva da Sud.



Gli Alleati occidentali avevano dei piani abbozzati per il lancio di truppe paracadutate che prendessero la città, ma decisero di non farne nulla. Dwight Eisenhower non vedeva il bisogno di soffrire delle perdite per prendere una città che sarebbe ricaduta nella sfera d'influenza sovietica alla fine della guerra, secondo accordo già stabilito dai leader di Russia, Inghilterra e Stati Uniti. Inoltre il piano era irrealistico in termini di numero di soldati e di quantità di rifornimenti necessari per l'operazione.



 


sabato 17 aprile 2021

Fidel Castro respinge l’invasione americana (Di Vincenzo Maria D’Ascanio)


 

 (17 Aprile 1961) Millecinquecento esuli cubani anticastristi, appoggiati dagli Stati Uniti, approdano sulla spiaggia di Giron (Playa Giron), ubicata nella Baia dei Porci, nel tentativo d’invadere l’isola e rovesciare il regime di Fidel Castro, con il quale, dal gennaio 1961, gli Stati Uniti hanno interrotto ogni relazione diplomatica. Con la legge Helms-Burton gli Stati Uniti avevano già imposto su Cuba l’embargo, ovvero il blocco degli scambi commerciali (1), perché con l’avvento del regime molte proprietà U.S.A. sull’isola furono statalizzati, in particolare con la riforma agraria e la redistribuzione delle terre ai cittadini cubani.

 

Soprattutto per questo gli esuli cubani in America furono addestrati dalla CIA in vista di un’invasione programmata durante l'amministrazione Eisenhower. La stessa fu infine disposta nell'aprile 1961, appena tre mesi dopo l'insediamento di John Fitzgerald Kennedy alla Casa Bianca. JFK non era convinto dall’assalto, tanto che decise di non sostenere le forze della CIA con l'esercito. Con l’apporto dell’esercito si sarebbe trattato dell’aggressione a uno Stato Sovrano, invece, con l’organizzazione degli esuli si sarebbe trattato di un Colpo di Stato, frequenti in America Latina (anche per l’ingerenza della CIA, vedere Dottrina Truman (2),).


Poco dopo l’una a.m. del 15 aprile 1961 scatta l’assalto aereo, i B 26 attaccano le basi cubane ma non riescono a distruggere i velivoli del regime. Va male anche in mare: due nevi da carico si arenano, mentre gli anticastristi che sono riusciti a mettere piede sulla sabbia sono uccisi dal fuoco castrista.  
Solo un intervento dell’esercito americano avrebbe potuto salvare l’invasione, ma Kennedy resiste alle pressioni e oppone un secco no (secondo una teoria, fu proprio questo “no” a determinare l’attentato di Dallas, dove John Fitzgerald Kennedy perse la vita a causa di un attentato le cui circostanze non furono mai completamente chiarite).


Per gli esuli è la fine: circa 1000 sono catturati, 107 uccisi. Sull’isola parte la repressione con migliaia di arresti. Il fallimento dell'operazione è addirittura imbarazzante. Un fallimento totale, una crisi diplomatica e un regalo alla propaganda antiamericana. Il disastro, però, non chiude la partita. I fratelli Kennedy autorizzano nuove iniziative per sbarazzarsi di Fidel e della rivoluzione.

Nella zona sud di Miami, viene organizzata "Jmwave", sigla in codice per un avamposto Cia, dove gli agenti portano avanti
l’Operazione "mangusta". Questa serie di “azioni” durarono dal 1961 al 1975. Voluta della presidenza di Dwight D. Eisenhower nel marzo 1960 e autorizzata dalla presidenza di John F. Kennedy a fine novembre 1961, portò alla realizzazione in 14 mesi di 5.780 azioni terroristiche e 716 sabotaggi a infrastrutture economiche cubane.

 

Il suo obiettivo primario era quello di rendere instabile il  governo  di Castro ma anch’esso fallì miseramente, contribuendo e rendere più forte il regime. Si racconta che gli americani abbiano studiato 638 metodi per uccidere Fidel. Dall’avvelenamento dei sigari alle conchiglie bomba, dal ricorso a cecchini alla trappola di un’amante. Alcuni erano «complotti» seri, altri tentativi semicomici. Tuttavia per diverso tempo gli esuli continuarono a essere un pericolo.


Questi collocheranno bombe anche su un jet passeggeri, tentando dunque di colpire civili, e sembra che abbiamo avuto finanziamenti anche dalla mafia, che aveva trasformato Cuba in un enorme night club con un mix di droga, gioco d'azzardo e prostituzione. Un anno dopo (1962) il mondo è sull’orlo della Terza guerra Mondiale per la crisi dei missili russi sull’isola caraibica, tuttavia Kennedy e Kruscev riuscirono a trovare un compromesso: i russi avrebbero ritirato i loro missili, ma gli americani si sarebbero astenuti da qualsiasi azione militare contro Cuba. Il discredito ricadde sulle spalle di John F. Kennedy, che commentò: "Un vecchio detto dice che la vittoria ha cento padri ma la sconfitta è orfana".

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[1] Dal 1996 questo embargo è stato addirittura aggravato, stabilendo che gli Stati Uniti avrebbero annullato le importazioni di quegli Stati che avrebbero effettuato scambi commerciali con Cuba. Questa legge è stata considerata illegittima da diversi giuristi di diritto internazionale perché, su tutto, costringe l’economia cubana a uno stato di povertà.

2Il 12 marzo 1947 dinanzi al congresso il presidente americano Harry Truman enuncia la dottrina Truman o dottrina del contenimento, chiedendo la disponibilità di 400 milioni di dollari per aiutare Grecia e Turchia e l’estensione dei sui poteri per salvare, se ce ne fosse bisogno, tutti i popoli la cui democrazia venga minacciata dai totalitarismi. Viene emanata la legge che passa alla storia come dottrina Truman e che lascia la possibilità al presidente di aiutare qualsiasi paese che ne faccia domanda purché minacciato da totalitarismi. È importante ribadire come l’Unione Sovietica fosse centrale nei pensieri di Truman, anche se nel suo discorso tale Paese non venne mai direttamente 

a. (https://www.fattiperlastoria.it/

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giovedì 15 aprile 2021

Piazza Tien An Men e la storica immagine del "Giovane rivoltoso"


 

(15/04/1989) Il segretario del Partito Comunista cinese, Hu Yaobang muore a causa di un arresto cardiaco. La sua morte rappresenta la miccia che accende la protesta di studenti e intellettuali cinesi che darà luogo ai drammatici scontri di Piazza Tien An Men. La protesta nasce dal cordoglio per la morte del segretario, popolare tra i riformisti, e dalla richiesta al Partito di prendere una posizione ufficiale nei suoi confronti. La protesta diventerà sempre più intensa, mentre il governo cinese mostrerà di voler ignorare il movimento degli studenti e di essere intenzionato a reprimere qualunque forma di dissenso. Al termine della lunga serie di scontri, a Piazza Tien Anmen, si conteranno migliaia di morti. Proprio la protesta di piazza Tienanmen, nota anche come "Il massacro di piazza Tienanmen o "Primavera democratica cinese", fu una serie di dimostrazioni di massa che ebbero luogo principalmente in piazza Tienanmen, a Pechino, dal 15 aprile al 4 giugno del 1989. Esse videro la partecipazione di studenti, intellettuali e operai.



Il simbolo forse più noto della rivolta è il cosiddetto "Rivoltoso Sconosciuto" un uomo che, solo e disarmato, si fermò dinnanzi a una colonna di carri armati Type 59 con l'intento fermarli: il primo carro armato rallentò fino ad arrestarsi a qualche metro dal giovane, rimanendo immobile per qualche secondo. Il giovane agitò un sacchetto in aria, come a intimargli di andarsene. Passato qualche altro secondo il carro armato cambiò direzione e fece per aggirare il giovane, che però si spostò mettendosi di nuovo davanti al mezzo. Infine il giovane ci salì sopra: scambiò alcune parole con il carrista, gesticolò, scese e di nuovo bloccò il blindato, continuando la sua conversazione con il soldato. Alla fine lo raggiunsero alcune persone, apparentemente altri manifestanti, che lo portarono via. Il gesto del giovane diventò una delle immagini più famose e potenti del '900.

 

Nulla di certo si sa sull’identità del giovane, la rivista inglese «Sunday Express» ha sostenuto che si trattasse del diciannovenne Wang Weilin, ma la notizia non ha trovato conferma. Ancora meno si sa della sua sorte: alcune fonti americane hanno sostenuto che fu ucciso 14 giorni dopo l’episodio di contestazione, altri che fu giustiziato alcuni mesi dopo, un fotografo del settimanale americano «Newsweek» ha testimoniato di averlo visto arrestare dalle autorità cinesi subito dopo il fatto. Per un quotidiano di Hong Kong il giovane ora risiede a Taiwan. In un’intervista del 1990, l’allora segretario del Partito Jiang Zemin ha detto: “Penso che non sia stato giustiziato”. Il settimanale Usa «Time» ha inserito il Rivoltoso sconosciuto fra “le persone che hanno maggiormente influenzato il XX secolo”.

 

Nonostante l'esito drammatico e centinaia di vittime (morti, feriti e arrestati) ancora oggi incerto, la protesta permise di conoscere la repressione del governo cinese in tema di diritti umani e libertà di espressione ( i manifestanti, in effetti, chiedevamo riforme sui diritti civili e riforme economiche). Inoltre, gli eventi in Cina infervorarono ancor di più gli animi dei protestanti europei, dando nuovo slancio alle rivolte contro i regimi dell'URSS e degli altri Stati del Patto di Varsavia.



In Occidente la protesta di piazza Tienanmen viene considerata un evento fondamentale del XX secolo, ma in Cina il solo parlarne è un vero e proprio tabù. Sebbene su Internet, giornali e documentari si possano trovare varie testimonianze, filmati e immagini riguardanti la protesta, molti documenti di questi e altri generi sono stati occultati dal Partito Comunista cinese tramite l'utilizzo di censura e disinformazione, permesse dal controllo pressoché totale dei mass media. Ciò è particolarmente evidente durante le commemorazioni organizzate per l'anniversario del massacro: ogni anno, in occasione del 4 giugno, si tengono marce o fiaccolate nel silenzio dei mezzi di comunicazione e sotto lo stretto controllo delle autorità, che tengono sotto controllo anche i contenuti pubblicati su internet (motori di ricerca, chat e social network compresi) e i dissidenti relegati agli arresti



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mercoledì 14 aprile 2021

Il fanatico sudista John Wilkes Booth uccide Abramo Lincoln


 

“Arrivo a capire che sia possibile guardare la terra ed essere atei; ma io non comprendo come si possa alzare di notte gli occhi al cielo e dire che non vi è Dio." Abramo Lincoln) 

(14 Aprile1865) Washington, Ford’s Theatre. Il fanatico sudista John Wilkes Booth uccide il presidente degli Stati uniti d’America Abramo Lincoln. Protagonista della vittoriosa guerra a favore dell’Unione contro i secessionisti del Sud, artefice dell’introduzione del tredicesimo emendamento per l’abolizione della schiavitù, il sedicesimo presidente degli Stati Uniti d'America morirà il giorno successivo.

 

Senza la compagnia del generale e senza la sua guardia del corpo Ward Hill Lamon i Lincoln andarono al Ford's Theatre, a Washington, dove era in programma "Our American Cousin", una commedia musicale dello scrittore britannico Tom Taylor (1817-1880). Nell'istante in cui Lincoln prese posto nel palco presidenziale, John Wilkes Booth entrò nel palco e sparò un colpo di pistola calibro 44 alla testa del Presidente, gridando "Sic semper tyrannis!" (Latino: "Così sia sempre per i tiranni!" - motto dello Stato della Virginia e frase storicamente pronunciata da Bruto quando uccise Giulio Cesare). Secondo alcune testimonianze aggiunse poi "Il Sud è vendicato", saltando successivamente giù dal palco e rompendosi una gamba.

 

Inizialmente il pubblico pensò al coupé de theatre per celebrare la presenza di Lincoln. Ma le urla della moglie fecero capire che non si trattava di uno scherzo. Booth, seppur ferito, riuscì a fuggire a cavallo, dileguandosi. Lincoln fu assistito da un giovane medico che si trovava tra il pubblico. Tuttavia le possibilità che Lincoln sopravvivesse erano nulle.

 

L’assassino John Wilkes Booth sarà braccato dopo la più imponente caccia all’uomo della storia. Oltre 10.000 agenti federali si misero sulle tracce del killer, che fu trovato in una fattoria della Virginia con uno dei complici, David Herold. I federali diedero fuoco alla fattoria e appena Booth cercò di uscire, fu freddato dai colpi del fucile dell’agente Thomas A. Jones. Herold e gli altri cospiratori, tra cui la prima donna condannata alla pena capitale, furono impiccati il 7 luglio 1865.

 

Il corpo di Lincoln fu riportato in Illinois in treno, con un grandioso corteo funebre che attraversò diversi stati. L'intera nazione pianse l'uomo che molti consideravano il salvatore degli Stati Uniti, nonché protettore e difensore di ciò che Lincoln stesso chiamava "il governo della gente, dalla gente e per la gente"

 

 

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Lincoln, avvocato autodidatta, convinto antischiavista, Lincoln fu deputato per i “whig” dal 1834 al 1842 al parlamento dell'Illinois e successivamente al Congresso (1846-49), mentre dal 1856 aderì al nuovo Partito Repubblicano. La sua elezione a Presidente nel 1860 provocò una sollevazione degli stati schiavisti, cui seguì la creazione di una confederazione indipendente e dunque la guerra di secessione.

 

Nel febbraio del 1861, infatti, sette stati sudisti si separarono formalmente dall'Unione; altri stati del sud seguirono il loro esempio e scoppiò la guerra che si concluse soltanto nel 1865. Tra i momenti fondamentali della guerra civile ci fu la Battaglia di Gettysburg, a cui seguì (a guerra finita) il celebre Discorso di Lincoln sull'importanza dell'unione degli Stati.

 

Nel 1863 Lincoln emanò il proclama di emancipazione dei neri, che aboliva la schiavitù limitatamente, però, agli Stati scissionisti. Riconfermato presidente nel 1864, l'anno successivo fece approvare al Congresso l'emendamento alla Costituzione che sanciva l'abolizione della schiavitù in tutta l'Unione americana.


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