martedì 30 marzo 2021

Pietro Ingrao, l'irriducibile comunista


 

"Io sento penosamente la sofferenza altrui: dei più deboli, o più esattamente dei più offesi. Ma la sento perché pesa a me: per così dire, mi dà fastidio, mi fa star male. Quindi, in un certo senso, non è un agire per gli altri: è un agire per me. Perché alcune sofferenze degli altri mi sono insopportabili." (Pietro Ingrao)

 

(30 Marzo 1915) Nasce a Lenola Pietro Ingrao: partigiano, giornalista e politico italiano. Storico esponente dell'ala sinistra del Partito Comunista Italiano (cui aderì già dal 1940, partecipando attivamente alla Resistenza), fu direttore dell'Unità dal 1947 al 1957 e Presidente della Camera dei deputati dal 1976 al 1979.

 

Nato in una famiglia borghese, per un ragazzo della sua condizione sociale, scegliere di aderire alle lotte operaie non fu scontata. Durante il ventennio brilla ai Littoriali, manifestazioni sportive e culturali riservate agli universitari fascisti, dove vince competizioni sportive e letterarie. Il mito del comunismo è ancora lontano, Ingrao si iscrive a giurisprudenza e al centro sperimentale di cinematografia, dove resiste poco più di un anno. Lo abbandona, insieme agli studi, a causa della guerra di Spagna.

 

«Il 17 luglio 1936», racconterà, «è un giorno chiave: esplode la rivolta franchista. Non tornai più al centro sperimentale. Da allora, la lotta di classe diventò il punto centrale nella mia vita, il primo dovere, la prima speranza». Questo è il giovane Ingrao. Prenderà la laurea, ma al primo posto nella sua esistenza resterà per sempre l’impegno ai valori del comunismo, a cui riserva una dedizione totale.

 

Lavora clandestinamente per il Partito negli anni del fascismo. Caduta la dittatura, è eletto in Parlamento, dunque entra nella segreteria del Pci. Che, a partire dal 1947 e per dieci anni, gli affida la direzione de “L’Unità”. Nel Pci Ingrao si afferma come uno dei massimi dirigenti, dopo Togliatti tra i più amati. Ha peso, anche se relegato al ruolo dell’eterno oppositore.

 

Fra il 1989 e il 1991 fu tra i più autorevoli oppositori alla "svolta della Bolognina", che determinò lo scioglimento del PCI. Posto dinanzi al fatto compiuto Ingrao aderì comunque al Partito Democratico della Sinistra, per cercare di spostarne la politica a sinistra. Con questi obiettivi coordinò l'area dei Comunisti Democratici fino al 15 maggio 1993, quando annunciò l'addio al PDS per avvicinarsi al Partito della Rifondazione Comunista.

 

Paolo Franchi ne diede una bellissima descrizione: «Sul perché del fascino esercitato da Pietro Ingrao, in stagioni diverse, su tanta parte della sinistra italiana, si sono interrogati in parecchi, anche molto lontani dalla sua parte. Gli estimatori hanno posto l’accento soprattutto sulla passione politica, sulla tensione intellettuale, sulla fibra morale: tutte qualità incontestabili dell’uomo. Gli avversari, sulla fumosità dell’analisi, della proposta e, conseguentemente, del linguaggio; sull’astrattezza, sulla vocazione alla sconfitta: tutti vizi ben radicati nella sinistra.

 

Ingrao, forse, non apprezzerà questa descrizione. Ma forse la spiegazione più verosimile è quella che diede Indro Montanelli, quando il vecchio Pietro si oppose alla “svolta” di Achille Occhetto a cui diede battaglia. Scriveva Montanelli: “Ha un volto rincagnito e parla con un plumbeo accento ciociaro. Eppure non si può guardare senza provare per lui un profondo rispetto. Ciò che dice può essere sbagliato, ma il suo è un dramma autentico, senza nulla di recitato, anzi contenuto nei toni più sommessi: il dramma di un uomo che, messo alla scelta tra una carriera e una bandiera, sta con la bandiera, pur ridotta a un brandello. Il comunismo cui Ingrao non intende proprio rinunciare è, né più né meno, lo “stare dalla parte degli sfruttati”.

Sposato con Laura Lombardo Radice (1913-2003), aveva cinque figli: Chiara, Renata, Bruna, Celeste e Guido. Muore a Roma il 27 settembre 2015, sei mesi dopo aver compiuto 100 anni. È sepolto presso il cimitero comunale di Lenola.

 

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