(20 Marzo1979) Il giornalista Mino Pecorelli viene
assassinato in auto mentre lascia la redazione del suo giornale “OP”
(Osservatore Politico) a Roma. Dalle colonne del suo giornale Pecorelli ha
denunciato episodi di corruzione e malcostume con anticipazioni documentate.
Sempre dal giornale “OP”, Pecorelli ha attaccato anche i poteri forti del
periodo, in particolare il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti,
rilanciando le accuse contenute nel memoriale Moro, trovato nel covo delle
Brigate Rosse di Via Monte Nevoso. Il processo per l’uccisione di Pecorelli
avrà un iter particolarmente lungo: Andreotti sarà assolto nel 2003 dall’accusa
di essere il mandante dell’omicidio.
Pecorelli era un giornalista estremamente capace e si
dimostrò conoscitore della realtà politica, militare, economica e criminale
italiana. Le sue rivelazioni furono oggetto di una mole impressionante di
smentite (soprattutto dopo la sua morte), ma soltanto una minima parte di esse
hanno poi ceduto in sede giudiziaria di fronte a querele o altri procedimenti.
A dimostrare la sua competenza restano i diversi scandali
individuati e pubblicati sulle colonne dei "Osservatore Politico",
come i comportamenti pubblici e privati dei politici (come il Presidente della
Repubblica Giovanni Leone), quello dell'Italpetroli, il caso Lockheed, il caso
Sindona oltre all’individuazione di una loggia massonica all'interno del
Vaticano.
La specificità del lavoro che svolse, sia per gli argomenti
trattati che per il modo in cui li trattò, fece sì che molte delle sue
indicazioni potessero essere sinteticamente definite da altri colleghi
"profezie", come ad esempio le note righe sul "generale
Amen", nome dietro al quale molti hanno individuato la figura del generale
Carlo Alberto Dalla Chiesa: sarebbe stato lui che (secondo la narrazione di OP)
durante il sequestro Moro, avrebbe informato il ministro dell'Interno Francesco
Cossiga dell'ubicazione del covo in cui era detenuto il Presidente della DC
(ma, sempre stando a questa ipotesi, Cossiga non avrebbe "potuto" far
nulla, poiché obbligato verso qualcuno o qualcosa).
In sede giudiziaria si è ampiamente dibattuto se Pecorelli
fosse un ricattatore professionista, considerati gli argomenti della quasi
totalità delle sue inchieste, ma tale tesi è stata bocciata dopo l'esame
patrimoniale eseguito dopo il suo assassinio: il giornalista risultava
perennemente indebitato con tipografie e distributori e il suo spartano tenore
di vita non poteva certo essere paragonato con quello di chi avrebbe ricattato.
La morte del giornalista segnò anche la fine di Osservatore Politico: l'agenzia
prima e la rivista poi erano alimentate esclusivamente dalle notizie che
Pecorelli raccoglieva in prima persona dalle sue fonti, allocate nel mondo
politico, nella loggia P2 (cui risultò affiliato egli stesso) e all'interno
dell'Arma dei Carabinieri e dei servizi segreti.
Pecorelli fu assassinato da un sicario che esplose quattro
colpi di pistola in via Orazio a Roma, nelle vicinanze della redazione del
giornale. I proiettili, calibro 7,65, trovati nel suo corpo non erano comuni:
della marca Gevelot, assai rari sul mercato (anche su quello clandestino), ma
dello stesso tipo di quelli che sarebbero poi stati trovati nell'arsenale della
banda della Magliana, rinvenuto nei sotterranei del Ministero della Sanità.
L'indagine aperta all'indomani del delitto seguì diverse
direzioni, coinvolgendo nomi come Massimo Carminati (esponente dei Nuclei
Armati Rivoluzionari e della banda della Magliana), Antonio Viezzer, Cristiano
e Valerio Fioravanti. Tutti furono prosciolti il 15 novembre 1991;
successivamente, le ipotesi sul mandante e sul movente fiorirono a grappoli: da
Licio Gelli (risultato estraneo ai fatti) a Cosa nostra, fino ad arrivare ai
petrolieri e ai falsari di Giorgio De Chirico. Le rivelazioni “Del pentito dei
pentiti” Tommaso Buscetta, nel 1993, identificarono come mandanti dell’omicidio
l’ex sette volte presidente del Consiglio Giulio Andreotti e Gaetano
Badalamenti.
Nel 1999 ci fu un’assoluzione mentre nel 2002 la Corte
d’Assise d’Appello di Perugia condannò sia Andreotti che Badalamenti a 24 anni
di reclusione. Tuttavia, in Cassazione la sentenza fu ribaltata nell'ottobre
del 2003, annullando la condanna senza rinvio. La Cassazione smontò punto per
punto la condanna per Andreotti e Badalamenti, dimostrando che la Procura di
Perugia agì utilizzando soltanto induzioni e basandosi esclusivamente sulle
dichiarazioni di Buscetta. Inoltre la Procura di Perugia non aveva le
potenzialità per individuare i reali assassini, dunque fu sbugiardata clamorosamente.
L’assassino di Pecorelli non fu mai trovato, i misteri non furono chiariti
anche in ragione di depistaggi e l’innalzamento dei classici “Muri di Gomma”
italiani.
Vincenzo Maria D'Ascanio
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