sabato 20 marzo 2021

Omicidio Pecorelli: l'ennesimo mistero italiano.


 

(20 Marzo1979) Il giornalista Mino Pecorelli viene assassinato in auto mentre lascia la redazione del suo giornale “OP” (Osservatore Politico) a Roma. Dalle colonne del suo giornale Pecorelli ha denunciato episodi di corruzione e malcostume con anticipazioni documentate. Sempre dal giornale “OP”, Pecorelli ha attaccato anche i poteri forti del periodo, in particolare il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, rilanciando le accuse contenute nel memoriale Moro, trovato nel covo delle Brigate Rosse di Via Monte Nevoso. Il processo per l’uccisione di Pecorelli avrà un iter particolarmente lungo: Andreotti sarà assolto nel 2003 dall’accusa di essere il mandante dell’omicidio.

Pecorelli era un giornalista estremamente capace e si dimostrò conoscitore della realtà politica, militare, economica e criminale italiana. Le sue rivelazioni furono oggetto di una mole impressionante di smentite (soprattutto dopo la sua morte), ma soltanto una minima parte di esse hanno poi ceduto in sede giudiziaria di fronte a querele o altri procedimenti.

A dimostrare la sua competenza restano i diversi scandali individuati e pubblicati sulle colonne dei "Osservatore Politico", come i comportamenti pubblici e privati dei politici (come il Presidente della Repubblica Giovanni Leone), quello dell'Italpetroli, il caso Lockheed, il caso Sindona oltre all’individuazione di una loggia massonica all'interno del Vaticano.

La specificità del lavoro che svolse, sia per gli argomenti trattati che per il modo in cui li trattò, fece sì che molte delle sue indicazioni potessero essere sinteticamente definite da altri colleghi "profezie", come ad esempio le note righe sul "generale Amen", nome dietro al quale molti hanno individuato la figura del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa: sarebbe stato lui che (secondo la narrazione di OP) durante il sequestro Moro, avrebbe informato il ministro dell'Interno Francesco Cossiga dell'ubicazione del covo in cui era detenuto il Presidente della DC (ma, sempre stando a questa ipotesi, Cossiga non avrebbe "potuto" far nulla, poiché obbligato verso qualcuno o qualcosa).

In sede giudiziaria si è ampiamente dibattuto se Pecorelli fosse un ricattatore professionista, considerati gli argomenti della quasi totalità delle sue inchieste, ma tale tesi è stata bocciata dopo l'esame patrimoniale eseguito dopo il suo assassinio: il giornalista risultava perennemente indebitato con tipografie e distributori e il suo spartano tenore di vita non poteva certo essere paragonato con quello di chi avrebbe ricattato. La morte del giornalista segnò anche la fine di Osservatore Politico: l'agenzia prima e la rivista poi erano alimentate esclusivamente dalle notizie che Pecorelli raccoglieva in prima persona dalle sue fonti, allocate nel mondo politico, nella loggia P2 (cui risultò affiliato egli stesso) e all'interno dell'Arma dei Carabinieri e dei servizi segreti.

Pecorelli fu assassinato da un sicario che esplose quattro colpi di pistola in via Orazio a Roma, nelle vicinanze della redazione del giornale. I proiettili, calibro 7,65, trovati nel suo corpo non erano comuni: della marca Gevelot, assai rari sul mercato (anche su quello clandestino), ma dello stesso tipo di quelli che sarebbero poi stati trovati nell'arsenale della banda della Magliana, rinvenuto nei sotterranei del Ministero della Sanità.

L'indagine aperta all'indomani del delitto seguì diverse direzioni, coinvolgendo nomi come Massimo Carminati (esponente dei Nuclei Armati Rivoluzionari e della banda della Magliana), Antonio Viezzer, Cristiano e Valerio Fioravanti. Tutti furono prosciolti il 15 novembre 1991; successivamente, le ipotesi sul mandante e sul movente fiorirono a grappoli: da Licio Gelli (risultato estraneo ai fatti) a Cosa nostra, fino ad arrivare ai petrolieri e ai falsari di Giorgio De Chirico. Le rivelazioni “Del pentito dei pentiti” Tommaso Buscetta, nel 1993, identificarono come mandanti dell’omicidio l’ex sette volte presidente del Consiglio Giulio Andreotti e Gaetano Badalamenti.

Nel 1999 ci fu un’assoluzione mentre nel 2002 la Corte d’Assise d’Appello di Perugia condannò sia Andreotti che Badalamenti a 24 anni di reclusione. Tuttavia, in Cassazione la sentenza fu ribaltata nell'ottobre del 2003, annullando la condanna senza rinvio. La Cassazione smontò punto per punto la condanna per Andreotti e Badalamenti, dimostrando che la Procura di Perugia agì utilizzando soltanto induzioni e basandosi esclusivamente sulle dichiarazioni di Buscetta. Inoltre la Procura di Perugia non aveva le potenzialità per individuare i reali assassini, dunque fu sbugiardata clamorosamente. L’assassino di Pecorelli non fu mai trovato, i misteri non furono chiariti anche in ragione di depistaggi e l’innalzamento dei classici “Muri di Gomma” italiani.

Vincenzo Maria D'Ascanio

Nessun commento:

Posta un commento